Mente creativa, con una laurea in Letteratura Musica e Spettacolo e una in Antropologia, Francesca Zacchia incontra nel 2013 un game designer e insieme a lui ha l’intuizione di fondare Yonder. Lo studio di sviluppo indipendente, in cui ricopre il ruolo di Art Director, in collaborazione con Strelka Games realizza titoli profondi e curati nel dettaglio capaci di regalare esperienze coinvolgenti ai giocatori
Hai una formazione umanistica, eppure oggi lavori nello sviluppo dei videogiochi. Ci puoi raccontare qual è il percorso che ti ha condotta in Yonder?
Il mio percorso di formazione è frutto dei vari interessi che ho cercato di coltivare. Ho sempre disegnato, da quando ho memoria. Per me è sempre stato un gesto spontaneo, da dare quasi per scontato. Parallelamente ho nutrito interesse per la musica che ho più o meno sempre praticato, e per la letteratura da quando per la prima volta l’ho incontrata a scuola.
Così, ho attraversato gli studi artistici e seguito un percorso accademico che mi ha portato a laurearmi in Letteratura Musica e Spettacolo e poi in Antropologia.
Sul mio stesso percorso di studi ho incontrato Giuseppe Mancini (game designer), con cui è nata una sinergia estetica e spirituale che ci ha portato a fondare anni dopo lo studio che oggi è Yonder. Posso dire che io e Giuseppe, appassionato cultore del medium videoludico, alla soglia dei trent'anni siamo stati folgorati sulla via di Damasco dello sviluppo indipendente.
Yonder nasce nel 2013 da me, da Giuseppe e da suoi 2 colleghi del corso di programmazione all’AIV (Accademia Italiani Videogiochi). Ad oggi credo che Yonder, composta da me, Giuseppe e Valerio Immordino, 2D artist e animatore, sia innanzitutto il risultato della passione e del duro lavoro, ma anche di una forte urgenza creativa che ha caratterizzato in maniera trasversale i nostri percorsi di vita.
Pensi che il fatto di essere in Italia abbia influito o stia influendo in qualche modo sul tuo lavoro?
Nonostante qualcosa in Italia stia cambiando negli ultimi anni (grazie anche al contributo importante di IIDEA), purtroppo il settore in cui lavoriamo è ancora poco sviluppato. Esistono tantissime realtà creative, spesso e volentieri più che meritevoli, che fanno davvero fatica a resistere senza il sostegno di politiche rivolte a queste tipologie di impresa, nate per lo più dal basso. Di conseguenza l’Italia da questo punto di vista rimane ancora poco concorrenziale rispetto agli altri paesi, non per mancanza di merito, né per mancanza di impegno da parte della comunità.
D’altra parte, ogni forma culturale si nutre del patrimonio culturale-storico-artistico in cui si fonda. E quello italiano è un contesto ricco e stimolante in cui crescere e in cui fondare le proprie attività creative.
Sarebbe giusto che il settore dello sviluppo di videogiochi in Italia fosse preso maggiormente sul serio. Il racconto che spesso si fa è dei “nerd” che dalla cameretta realizzano il prossimo Angry Birds e diventano milionari. Non è affatto così. Non siamo quelli che “ci provano”: dietro ci sono professionisti che vivono del proprio lavoro e producono opere di qualità anche artisticamente e tecnologicamente rilevanti. Perché allora non favorire la crescita di un settore già maturo e potenzialmente florido?
Tu fai parte di Yonder, che oggi ha all’attivo una collaborazione molto forte con un altro studio di sviluppo: Strelka Games. Puoi raccontarci com'è nata questa cooperazione?
La cooperazione tra Yonder e Strelka, “l’asse Roma-Trento”, come la chiamiamo noi, nasce per caso. Conoscemmo Pietro De Grandi di Belka Digital (giovane società trentina di sviluppo software tra le più virtuose in Italia) nel 2017 a Trento durante un meeting che la Film Commission del Trentino aveva organizzato per conoscere gli studi di sviluppo italiani. Dopo due chiacchiere, quella sera stessa davanti a una birra Pietro ci raccontò che Belka si era da poco affacciata nel mondo dello sviluppo di videogiochi, prima con Tricky Traps, adattamento videoludico del gioco elettro-meccanico cult degli anni ‘80, e poi con un prototipo di uno sparatutto top down multiplayer online a cui serviva un design e una direzione artistica. Noi di Yonder avevamo pubblicato Red Rope nel 2016 e lavoravamo a Circle of Sumo (il nostro secondo gioco) e ad alcuni prototipi, tra cui proprio un shooter top down. Fu così che Strelka Games, la sezione di Belka che attualmente si occupa di sviluppo e pubblicazione di videogiochi, ci affidò tutto il comparto artistico e il design del prototipo di quello che oggi è Hell is Others, di prossima uscita. Con Strelka pubblicammo anche Circle of Sumo e Circle of Sumo: Online Rumble! su Steam e Nintendo Switch, Circle of Football, al momento disponibile in early access su Steam e la versione definitiva di Red Rope su tutte le console.
Yonder, insieme a Strelka Games, ha rilasciato Red Rope: Don't Fall Behind, Circle of Sumo e Circle of Football e adesso sta lavorando a un nuovo e ambizioso progetto, Hell is Others. Citando la vostra prima opera, c'è un fil rouge che accomuna in qualche modo questi progetti, per quanto differenti? C'è un messaggio che Yonder vuole trasmettere al proprio pubblico?
Rispondendo direttamente a questa domanda, sì, esiste assolutamente un fil rouge tra le nostre opere. Parlo in particolare di Red Rope, di Hell is Others e di un altro videogioco a cui stiamo lavorando che però non è stato ancora annunciato.
Da un punto di vista formale il minimo comun denominatore dei nostri giochi finora è stato l’elemento multiplayer. Dal punto di vista contenutistico, invece, Red Rope ed Hell is Others sono esattamente due facce della stessa medaglia. Essi incarnano una riflessione sul concetto dell’“altro” negandosi reciprocamente: se in Red Rope, gioco cooperativo per due giocatori, l’altro è legato a te da una corda rossa e solo grazie a una profonda comunione di intenti è possibile avere la meglio sulle insidie del labirinto in cui i protagonisti si trovano, in Hell is Others si è lasciati orribilmente soli, gli “altri” (chiamati nel gioco esattamente “Others”) sono i mostri che il protagonista teme ed egli stesso è l’Other nel gioco di qualcun altro. Red Rope è l’apologia dell’altro come parte inscindibile del sé, Hell is Others è il suo rovesciamento, la sua trasfigurazione mostruosa. Come comprova di questo, abbiamo aggiunto in Hell is Others alcuni elementi tratti dalla lore di Red Rope che i giocatori più attenti potranno cogliere ed interpretare.
Idealmente i due giochi sarebbero due dei tre capitoli di una trilogia, la trilogia dell’”Altro”, per l’appunto (il terzo capitolo, come dicevo, è in cantiere). Come creatori di contenuti, quello che ci interessa è restituire ai giocatori quella profondità, quella cura dei particolari, quella visione che noi per primi cerchiamo nelle opere che amiamo e che ci esaltano.
Vuoi condividere qualche consiglio con le ragazze e i ragazzi che vogliono entrare nel mondo dello sviluppo?
Non ho grandi verità da diffondere, credo che ognuno possa fare questo lavoro nella maniera che gli è più congeniale. Quello che ho imparato dalla mia esperienza di sviluppatrice indipendente e piccola imprenditrice in Italia è che questo è un lavoro totalizzante, di quelli che non ti lasciano mai la mente sgombra e che ti seguono a casa la sera pure quando vai a dormire.
Ho capito che non esiste una formula magica del successo, che non è sufficiente avere un’idea originale e nemmeno cavalcare delle tendenze. Ѐ necessario avere una visione, tanta passione e riversare nel proprio lavoro tempo e dedizione. Ѐ importante mettere in conto i fallimenti che sono fisiologici in questo settore. Ma se si fallisce e si ha lo slancio di ricominciare, il fallimento diviene un’ottima palestra per imparare a fare questo mestiere. Certamente è più probabile e più auspicabile fallire all’inizio. Come in tutti gli ambiti creativi, l’onestà intellettuale, la costanza e il duro lavoro, prima o poi, premiano.