Germania, Francia, Spagna e infine Italia: Selvaggia Salvati ha vissuto in molti paesi ma la sua passione è sempre stata una sola: i videogiochi. Oggi in Ubisoft Milan, Selvaggia ripercorre le tappe della sua carriera e condivide alcuni consigli per chi vuole entrare da professionista nell’industria dello sviluppo.
Ubisoft Milan, fondata nel 1998, è uno dei team di sviluppo italiani più noti in tutto il mondo. Ci racconti i momenti più importanti dell’azienda?
Ubisoft Milan è una delle realtà più affermate nel mondo dello sviluppo di videogiochi nel nostro paese: il team dal 1998 ad oggi è cresciuto moltissimo, attraendo professionisti e profili di talento a livello nazionale ed internazionale.
Sin da subito, abbiamo contribuito alla realizzazione di titoli per serie molto conosciute, come Assassin’s Creed, Splinter Cell e Just Dance ma penso che sia stato attraverso la collaborazione su Ghost Recon: Wildlands che il team abbia cominciato a farsi conoscere di più nell’industria.
Tutto è cambiato con il titolo di cui andiamo più fieri: Mario + Rabbids Kingdom Battle, pubblicato nel 2017 su Switch. Attraverso una solida partnership con Nintendo, abbiamo dato il massimo per dar vita ad un mondo stravagante, dove Mario e i suoi amici collaborano con dei bizzarri alleati Rabbids, in una avventura strategica ricca di humor e curata nei minimi dettagli.
Di cosa ti occupi in Ubisoft Milan?
Il mio ruolo è quello di Project Coordinator: aiuto i Senior Producer con una serie di attività tra cui il monitoraggio generale dell’andamento del progetto, la progressione dello sviluppo e dei risultati, sia a breve che a lungo termine. A seconda delle necessità, vengo assegnata a dare supporto a uno o più dipartimenti specifici e seguo determinate aree. Uno dei miei compiti principali è poi quello di facilitare la comunicazione tra i diversi reparti e di gestire le informazioni relative al progetto.
Hai un’esperienza nel mondo dei videogiochi di oltre 10 anni: puoi ripercorrere le tappe della tua carriera?
Certamente! Chi, come me, ha amato i tantissimi videogiochi che uscirono su Super Nintendo o la prima PlayStation, probabilmente ricorda anche che le traduzioni in italiano erano praticamente un evento straordinario e che gli errori nei testi (anche in inglese) non erano una rarità. Dopo la laurea in traduzione e interpretazione di conferenza, mi sono trasferita in Germania per lavorare presso Nintendo come tester linguistico per l’italiano. Lì ho scoperto il vastissimo mondo della localizzazione e dello sviluppo dei videogiochi: me ne sono innamorata e ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada.
Dopo l’esperienza in Nintendo, ho lavorato presso Electronic Arts a Madrid e Lione, dove sono passata a ricoprire il ruolo di Translation Project Manager, poi Assistant Producer e infine Senior Producer per la localizzazione audio. È stata un’avventura durata quasi 12 anni, che mi ha arricchito moltissimo a livello lavorativo e personale. Dopo tanto tempo, però, avevo voglia di mettermi in gioco ed ho deciso di lasciare la localizzazione per inseguire uno dei miei obiettivi di sempre: entrare a far parte di uno studio di sviluppo. Ho adorato Mario + Rabbids Kingdom Battle e da poco meno di due anni sono entrata in Ubisoft Milan, dove mi hanno fatto sentire subito a mio agio e parte del team. Sono sicura che il mio percorso come Producer sarà pieno di sfide interessanti e grandissime soddisfazioni!
Hai lavorato in diversi Paesi: trovi che il mondo dei videogiochi in Italia sia differente?
Rientrando in Italia l’impressione che ho avuto è che l’industria del gaming sia in crescita. Abbiamo delle realtà “Made in Italy” che, sebbene siano assolutamente professionali, restano comunque in numero ridotto se confrontate con gli studi che si possono trovare oltreoceano o nel Nord Europa.
Sarebbe meraviglioso se, anche qui da noi, si riuscisse ad ottenere quello spazio e quella visibilità che in altri Paesi aiuta la crescita degli studi di sviluppo. Sarebbe inoltre una grande vittoria se in Italia fossimo i primi a colmare lo squilibrio che c’è tra il numero di uomini e donne che lavorano nel game development: si dovrebbero coinvolgere maggiormente le ragazze in età scolare, mostrando loro che lo sviluppo di videogiochi è una opzione di carriera reale, con diversi sbocchi professionali. A riguardo, negli ultimi anni ho visto un cambiamento di rotta e spero che si continui ad andare in questa direzione; la strada è lunga ma non dobbiamo mai dimenticare che i ragazzi e le ragazze che oggi giocano ai nostri giochi saranno gli sviluppatori di domani. Saranno loro ad avere il potere di decidere in che modo le persone interagiranno tra loro online e di creare gli eroi che vorranno interpretare.
Hai studiato la realtà virtuale e hai sviluppato titoli per questa tecnologia: come pensi si evolverà nei prossimi 5 anni?
Beh, non esageriamo! Ho studiato la VR per mia curiosità e tutto ciò che ho creato, l’ho fatto a titolo personale. È un mondo affascinante e le sue applicazioni possono essere davvero a 360°: dal gaming alla medicina, dall’arte agli impieghi militari: idealmente, attraverso una simulazione in VR, si possono formare artificieri così come si può fare un giro in uno showroom di automobili.
Le sfide affrontate dalla realtà virtuale e dalla realtà aumentata sono principalmente rivolte all'hardware: potenza, accessibilità, accuratezza e riduzione dei costi. È una tecnologia che consente di rompere le barriere spaziali ma richiede una serie di periferiche come visori, guanti o caschi, in modo che i movimenti dell'utente vengano catturati e questi “disagi” dei dispositivi VR, per alcuni, non compensano i vantaggi in termini di immersione e spettacolarità.
Oggi mi sembra che la realtà virtuale e la realtà aumentata generino nel pubblico delle aspettative eccessive: per esempio, quella di eseguire in ambienti virtuali tutte le azioni che possono essere eseguite nella realtà. È difficile immaginare come si evolverà questa tecnologia tra 5 anni: le compagnie che più hanno investito in quest’area sono ottimiste ma allo stesso tempo molto caute. Valve, Sony e Oculus continuano a scommettere in questo settore e forse la realtà virtuale andrà oltre i videogiochi, per diventare parte della nostra educazione, del nostro lavoro e del nostro tempo libero.
Che consigli vuoi condividere con un giovane che vuole lavorare nel mondo dei videogiochi?
Sicuramente di prepararsi al meglio e di non aver paura di gettarsi nella mischia. Abbiamo bisogno dei profili più disparati: concept artist, programmatori, designer, artisti 3D, animatori, creatori di effetti speciali e audio, solo per citarne alcuni.
Consiglierei di essere informati riguardo gli standard richiesti dall’industria e studiare bene i software o i linguaggi di programmazione necessari, di guardare le offerte di lavoro e prendere nota di cosa si richiede per concentrare i propri sforzi in maniera mirata ed acquisire le competenze giuste. Infine di imparare bene l’inglese e di proporsi allo studio dei loro sogni con portfolio o progetti personali che mettano in luce la propria inventiva, bravura e passione, magari nati partecipando alle Game Jam.
E soprattutto, di non scoraggiarsi se la giusta opportunità non arriva da subito.